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Sabatino Finzi

Sabatino Finzi nacque l’8 gennaio 1927 a Roma in via del Tempio n°4. Viveva insieme al padre, alla madre, alla sorella, ai nonni materni e tre zii, una famiglia giovane e unita. Il padre lavorava come rappresentante di tessuti. Dopo le leggi razziali del 1938 Sabatino fu costretto ad andare in una scuola adibita per gli ebrei, coadiuvata da persone di religione cattolica, nei pressi del Colosseo. La famiglia partecipò anche alla donazione dei 50 kg d’oro (nota) credendo così salvarsi la vita dalla persecuzione.

Sabatino Finzi - Roma
Sabatino Finzi – Roma

La notte del 16 ottobre 1943 – ricorda Sabatino (nota) – “passarono due motociclette a lanciare delle bombe a mano per impaurire le persone e non permettergli di uscire di casa, cosicché la mattina all’alba i tedeschi poterono irruppere nel ghetto prelevando tutte le famiglie dalle loro case”. La famiglia Finzi fu portata al collegio militare vicino all’ospedale del Santo Spirito. La mattina seguente fu condotta alla stazione Tiburtina dove erano già pronti i treni con i vagoni bestiame per caricare tutti gli ebrei: 40 persone a vagone adagiate in condizioni pessime. Sabatino, in un’intervista rilasciata alla Provincia di Roma, ricorda che fece quasi tutto il viaggio in piedi per poter dare agio alle persone più anziane di rimanere sedute per terra.

Il viaggio in treno durò 8 giorni, senza cibo. Solamente in Veneto le persone sapevano che stavano transitando i carri con i deportati, e dalle feritoie riuscirono a passargli del cibo.
La sera del 23 ottobre il treno arrivò a Birkenau, con otto gradi sotto lo zero e la neve.

All’arrivo fu fatta subito la selezione tra chi doveva andare ai forni e chi poteva lavorare. Sabatino credeva che il momento della selezione fosse l’attimo che dividesse gli uomini dalle donne per condurli ai lavori forzati e non che fosse una valutazione mirata a uccidere immediatamente le persone.

Sabatino fu l’unico della famiglia a superare la selezione e a entrare nel campo di Birkenau, i genitori, la sorellina, i nonni e gli zii furono mandati nelle camere a gas.
Venne rasato e immatricolato come 158556 (nota), ricordando perfino il volto dell’ebreo che gli incise il numero e la delicatezza con cui gli fu tatuato. Successivamente fu mandato in quarantena, dove venne sottoposto a delle iniezioni, e in seguito avviato al lavoro nelle miniere di carbone con altre 150 persone, in una sezione del campo di Auschwitz. Qui il carbone veniva mescolato alla pietra lavagna; prima di metterlo sui nastri trasportatori, il carbone veniva separato da tale materiale. Il ruolo di Sabatino era quello di addetto alla scissione dei materiali.

Nel campo Sabatino prese una bastonata alla base della testa da un Kapò, i cui segni (le cicatrici) sono rimasti indelebili. La causa della violenza subita fu che alla richiesta del Kapò di una tazza, Sabatino la porse, senza pensarci, con un dito dentro. La ferita, a cui si aggiunse un ascesso, fu curata con dei mezzi di fortuna e sterilizzata da un compagno di baracca; solo in un secondo momento si scoprì che costui era un chirurgo, ex-docente all’Università di Pisa.

Dopo un anno e due mesi dalla deportazione nel campo di concentramento l’avanzata dei russi era imminente; Sabatino, assieme ad altri deportati fu condotto al campo di Buchenwald, dove rimase per un altro anno. L’11 aprile 1945 anche il campo di Buchenwald fu liberato, i prigionieri vennero curati dalla Croce Rossa e tenuti in quarantena per evitare contagi.

Sabatino nel frattempo si era fatto male a una gamba e il taglio si era infettato; fu così portato in treno all’ospedale di Bolzano e, successivamente, all’ospedale Sant’Orsola di Bologna dove fu curato amorevolmente e dove venne raggiunto da alcuni zii romani sopravvissuti che erano riusciti a rintracciarlo.

Al rientro a casa Sabatino aveva 17 anni; gli unici a cui poté raccontare l’esperienza del campo sono stati gli zii, reduci a loro volta da tale vicissitudine. Lo zio aveva un grande negozio di pezzi di ricambi per automobili e gli dette lavoro. A Roma Sabatino conobbe la moglie e dal matrimonio nacquero due figli (in questo progetto è intervenuto il figlio Giorgio) e, in seguito, molti nipoti (tutti maschi).

Gli occhi lucidi al momento dell’intervista testimoniano che Sabatino non è mai uscito dal campo di sterminio. Alla moglie ha parlato dell’orrore vissuto solamente dopo 20 anni di matrimonio; per quanto concerne i figli, non ha mai trovato la forza di narrare la propria esperienza.

Il pensiero comune di ogni persona sopravvissuta è credere che il razzismo sia un pericolo imminente; nell’intervista Sabatino si sofferma su questo dicendo che qualora fossero tornati i tedeschi a prenderlo non si sarebbe fatto trovare impreparato. Aveva imparato a utilizzare armi professionali, possedendo nove fucili in casa e aveva fatto in modo che anche i suoi figli sapessero utilizzarle, a dimostrazione di quanto il mostro nazista fosse sempre alla porta.

NOTE:

  • Durante l’occupazione di Roma i tedeschi obbligarono la comunità ebraica a raccogliere e consegnare 50 chili d’oro. L’intento delle S.S. nei confronti degli ebrei romani fu innanzitutto quello di non insospettirli e di proporre una via di salvezza in cambio di un contropartita in oro. Il mattino del 26 settembre le autorità italiane invitarono il Presidente della Comunità Israelitiche italiane, Dante Almansi e il presidente della Comunità Israelitica di Roma, Ugo Foà, a recarsi nell’ufficio del Comandante della polizia tedesca di Roma, Herbert Kappler il quale riferì loro queste parole «Noi tedeschi vi consideriamo unicamente ebrei e come tali nostri nemici, […] i peggiori nemici contro i quali stiamo combattendo. […] Non abbiamo bisogno delle vostre vite, né di quelle dei vostri figli, abbiamo bisogno invece del vostro oro. Entro trentasei ore dovete versare cinquanta chilogrammi di oro altrimenti duecento ebrei saranno presi e deportati in Germania». I due presidenti disperavano di poter trovare così tanto oro in così poco tempo. Ad ogni modo, portando a conoscenza della maggior parte degli ebrei residenti a Roma la richiesta tedesca, in poco tempo pervenne un’offerta di oggetti d’oro, per lo più cari ricordi di famiglia. Poco prima della scadenza delle trentasei ore, ne vennero raccolti ottanta chilogrammi (trenta dei quali nascosti) e consegnati a Kappler. Gli ebrei si fidarono dei tedeschi, ma questi già nei giorni successivi devastarono e saccheggiarono i locali del Tempio Maggiore ebraico e la biblioteca della Sinagoga. Il 16 ottobre poi ultimarono il loro lavoro deportando tutti gli ebrei del ghetto.
  • Cfr.: 16 ottobre 1943: http://www.16ottobre1943.it/it/loro-di-roma.aspx
  • Le interviste di Sabatino Finzi sono visibili sul sito di Memoro – la banca della memoria http://www.memoro.org/it/testimone.php?ID=2332
  • Picciotto, L. 1991. Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943- 1945). Milano, Mursia Editore. pag. 286 – Sabatino Finzi